2. L'Atrio
Opera dell'ing. Canonica, ornato da 22 colonne di granito rosso, altorilievi in bronzo al di sopra delle 6 porte laterali e cornici in marmo colorato. Cinque cancellate dalle suggestive decorazioni in stile floreale fanno comunicare l'atrio con l'esterno. I cancelli, come i lampioni sulla strada e i lumi in ferro battuto dell'interno, sono opera di Alberto Gerardi.
Entrando nell'atrio si ammirano, a sinistra, tre bassorilievi in bronzo dello scultore siciliano Benedetto D'Amore, ispirati alla lavorazione dei campi e ai mestieri (l'aratura, la raccolta, la lavorazione del ferro). A destra altri tre bassorilievi di Guido Calori sul tema del lavoro umano, dalla forte carica romantica.
L'Atrio del palazzo dell'agricoltura
L'ingresso del Palazzo dell'Agricoltura, atrio "grandioso", dalle linee
"puramente classiche ispirate a quelle che tanto predilessero Bramante e
Baldassarre Peruzzi", come lo definiscono i contemporanei, è ornato da 22
colonne di granito rosso di Baveno e da altorilievi in bronzo al di sopra delle
sei porte laterali con cornici in marmo colorato.
L'effetto armonioso di questo spazio è opera dell'ingegner Giuseppe Canonica
che, trovando troppo angusto il vano costruito secondo il progetto originario,
fece abbattere la parete di fondo e cambiò di posto alle colonne mutandole in
vere strutture portanti.
I cinque cancelli che mettono in
comunicazione l'atrio con l'esterno, i lampioni già sulla strada e i lumi
interni in ferro battuto sono opera di un artista romano. Alberto Gerardi,
allora ai suoi esordi, che vinse la gara bandita per l'occasione cui
parteciparono le ditte più famose nel settore.
Superate le belle cancellate del Gerardi troviamo sulla parete sinistra
tre bassorilievi in bronzo tematicamente ispirati alla lavorazione dei campi e
ai mestieri. Sono, nell'ordine, L'aratura, La raccolta del grano, La
lavorazione del ferro. Ne è autore lo scultore siciliano Benedetto D'Amore,
una figura minore del panorama italiano del nostro secolo, ma il cui itinerario
artistico è tuttavia possibile seguire, attraverso le sue sporadiche
apparizioni alle Biennali di Venezia, in alcuni monumenti ufficiali eseguiti in
varie città della penisola, fino all'attività didattica svolta per più di un
ventennio (dal 1932) presso l'Accademia di Belle Arti di Perugia.
Il tema imposto dalla destinazione dei rilievi (la celebrazione del lavoro nei
campi o nelle fonderie indispensabile per il progresso del genere umano) viene
affrontato in chiave monumentale e assume connotati eroici: protagonista è una
umanità di eroi nudi che ostenta la massa vigorosa degli atletici corpi.
Tuttavia, al di là dell'eccessiva insistenza sul dettaglio anatomico, vi si
riscontra la capacità di impostare il racconto con un certo vigore sintetico.
Vediamo, nella Raccolta del grano, il grande fascio di spighe che attraversa
obliquamente il riquadro frantumando la luce, mentre nell'Aratura è pure felice
l'invenzione compositiva che si risolve nelle larghe masse di buoi,
sinteticamente appaiate sul primo piano. Con risultati che, dal punto di vista
stilistico, avvicinano quest'opera ad alcuni interessanti rilievi di animali
che Cambellotti andava eseguendo negli stessi anni: dove l'impressione di
robusta energia e il senso dinamico della forma non nascono da un disegno
esteriore, ma emergono dall'impatto della luce sulle superfici modellate.
La mancanza di ogni documentazione d'archivio riguardante la storia del Palazzo
dell'Agricoltura, e la scarsità dei ritagli di stampa sull'argomento, rendono
difficile definire i criteri secondo i quali i vari artisti furono chiamati a
collaborare, con opere di pittura o scultura, alla decorazione del palazzo.
Così, come già per D'Amore, anche nel caso di Guido Calori, siamo di fronte ad
un nome d'artista allora non particolarmente famoso, ma attivo da qualche
tempo, ed in grado di esibire alcune partecipazioni a manifestazioni ufficiali.
Quando fu chiamato a scolpire gli altri tre bassorilievi dell'atrio, Guido
Calori aveva circa trent'anni e una irregolare formazione alle spalle: aveva
infatti saltuariamente frequentato i corsi liberi dell'Istituto di Belle Arti
di Roma e del Museo Artistico Industriale.
Testi
tratti da: "L'opera decorativa" di Daniela Fonti in "Il Palazzo
dell'Agricoltura", Editalia, Roma, 1982.
Cronologicamente più recenti
le opere Al di là dell'aratro (1937) di Domenico Ponzi e di La buona
terra (1939) di Aroldo Bellini, furono acquistate dall'amministrazione alla
III Quadriennale di Roma del 1939.
Aroldo Bellini (Perugia 1902 - Roma 1982) si formò artisticamente presso
l'Accademia delle Belle Arti di Perugia per poi dirigersi verso quel successo e
quel riconoscimento più ampio che lo porteranno a lavorare nella Capitale
durante gli anni del Ventennio, approdando definitivamente a posizioni
novecentiste e classiciste nella decorazione scultorea dello Stadio dei Marmi
al Foro Italico (sue 23 delle 60 statue), finché, abbandonato lo scenario di
regime, tornerà in Umbria dedicandosi a lavori di piccole dimensioni, legati a
temi individuali, di gusto antico con una sorta di malinconica introspezione.
Domenico Ponzi (Ravenna 1891- Anticoli
Corrado 1973), dopo un periodo di formazione giovanile presso l'Accademia di
Belle Arti di Ravenna, decise di cogliere un'opportunità lavorativa,
l'arruolamento come disegnatore nel nuovo Genio Aeronautico, per andare a
vivere a Roma. Con una forza di volontà sorprendente riuscì a frequentare con
ottimo profitto il Museo Artistico Industriale e a realizzare le prime opere,
tra cui l'importante Monumento alle Vittime della Polveriera (1917), di gusto
pienamente liberty. Un'altra parentesi di qualche anno come disegnatore presso
lo IACP e poi Ponzi aprì studio e decise di dedicarsi completamente alla
scultura. Nel 1925 aveva sposato la modella Angela Toppi di Anticoli, e da lì
iniziò una frequentazione assidua del paese appenninico, ai margini di quel
cenacolo di artisti di cui in quegli anni faceva parte anche il grande Arturo
Martini. Gli anni '30 furono il decennio più fertile di lavoro e di speranze
per il futuro dell'artista. Partecipò alle Sindacali Romane e alle Biennali a
Venezia. Le sue opere decorarono numerosi edifici. Alla III mostra Quadriennale
di Roma espone con il titolo Al di là dell'aratro la figura
de L'aratore, acquistata il giorno stesso dell'inaugurazione per essere
collocata all'ingresso del Ministero dell'Agricoltura. Purtroppo, la guerra e
poi la ripresa nel dopoguerra mutarono le prospettive per l'artista in modo
totale. Negli anni della maturità, in cui il suo isolamento si fece più acuto,
continuava senza sosta lo studio del ritratto a cui si concedeva soprattutto
nei periodi in cui risiedeva in Anticoli Corrado, dove morirà il 24 ottobre
1973.